14 Ottobre 2020    Pietro Santamaria

L’agricoltura molese in passato godeva di una grande reputazione. Prima ancora dei pomodori di Mola, dell’uva di Pozzovivo e dei carciofi di Mola, i nostri antenati agricoltori ebbero il merito di aver selezionato una loro varietà di ulivo, la Cima di Mola, che si diffuse in gran parte del Sud-Est Barese (dove prese anche i nomi di Cima di MonopoliC. di Fasano, ecc.) e fece la fortuna sia dei proprietari terrieri che dei commercianti, tanto che ancora oggi il raccolto degli ulivi a Mola è chiamata a ndrête, cioè l’entrata principale dei bilanci economici.

Era il tempo in cui il nostro territorio agricolo era quasi completamente coperto da ulivi; la raccolta delle olive era una stagione attesa dai braccianti e dai tanti frantoiani; le pandore e i trabaccoli molesi partendo dai nostri insicuri approdi trasportavano l’olio in lungo e in largo per l’Adriatico e non solo. Era un olio molto apprezzato sia per l’alimentazione che per l’accensione delle lampade, un uso molto importante prima dell’invenzione dell’energia elettrica, da cui l’attuale termine lampante per l’olio di scadente qualità. Fu principalmente con i soldi ricavati dalla vendita dell’olio che a Mola furono costruiti i palazzi in paese e le ville e masserie in campagna, molto prima che l’ampliamento urbano fosse possibile nel ’900 con le rimesse dei tanti molesi emigranti o imbarcati sulle navi commerciali.

La Cima di Mola, autoctona della nostra Regione, è considerata una delle più antiche varietà di oliva da olio del Mediterraneo. Studi recenti hanno dimostrato che ha la base genetica della comune Ogliarola salentina (che prende localmente nomi diversi) dalla quale si è differenziata per mutazione spontanea che gli antichi produttori molesi individuarono e diffusero. Sicché, alberi secolari sono rintracciabili sia nel territorio di Mola dove l’olivicoltura, nel secolo scorso, cedette il posto alle coltivazioni dell’uva da tavola e del carciofo, che negli uliveti del Sud-Est Barese fino alla Valle d’Itria dove ha sempre fornito i migliori risultati qualitativi. Per questo motivo, la Cima di Mola (con la Peranzana diffusa nella parte Nord della Puglia, con la Coratina al Centro e l’Ogliarola nel Salento) è una varietà sulla quale si concentrano le ricerche delle Università di Bari e di Lecce e di altri Centri di Ricerca collegati all’agricoltura e all’alimentazione, allo scopo di correlare le caratteristiche organolettiche e nutraceutiche dell’olio extravergine d’olivo (EVO) con le basi genetiche e la zona di produzione. I risultati di questa ricerca, unitamente al miglioramento di alcune tecniche agronomiche, potrebbero ridare alla Cima di Mola parte di quel prestigio perduto nel tempo a causa di alcune debolezze mostrate nei confronti di varietà più remunerative.

Gli alberi della varietà molese hanno un portamento maestoso con chioma espansa moderatamente assurgente, che permette anche la tipica potatura di produzione con rami penduli. Le infiorescenze sono allungate con una media di venti fiori autosterili dei quali un terzo è soggetto a cascola per aborto fiorale malgrado una efficiente libera impollinazione della pianta. Le drupe (frutti) sono tendenzialmente piccole e di forma ellittica con la tipica punta appena ricurva, tanto che localmente i suoi nomi dialettali fanno riferimento alla forma pizzuta e a Mola sono chiamate i légghie pezzotele. La resa in olio delle drupe può variare dal 17 al 22 per cento mentre l’alternanza di produzione degli alberi, oltre che dalle caratteristiche pedoclimatiche delle diverse aree, è fortemente influenzata dalle potature comunemente pesanti realizzate ad anni alterni.

In genere, le piante di Cima di Mola allevate nelle aree costiere sono più vigorose di quelle delle zone collinari interne dove, però, risultano molto utili sia la loro resistenza al freddo e all’occhio di pavone che il minor attacco della mosca. Come per tutte le ogliarole pugliesi, anche per la Cima di Mola la raccolta deve essere effettuata a mano o aiutata da attrezzi manuali con grande aumento dei costi di produzione.

Stando ai risultati dei diversi panel test, l’olio extravergine monovarietà di Cima di Mola ha una media intensità di fruttato, un retrogusto amaro e piccante, un aroma medio leggero con sentore di erba, mandorla e carciofo per un elevato contenuto di polifenoli. Da qualche anno, la Cima di Mola è inclusa fra i Presidi Slow Food grazie alla rivalutazione di un frantoio di Alberobello, che produce un EVO monovarietale (costosissimo!) apprezzato sia nei concorsi che sui mercati esteri. Ciò non toglie che i pochissimi frantoi molesi includono l’olio della nostra storica cultivar fra le loro offerte, mentre si spera in una ripresa della sua produzione con sistemi colturali moderni. La nostra (ex-gloriosa) agricoltura meriterebbe un rilancio che mirasse anche ad una risistemazione del territorio a partire dalla costa, dove l’ulivo potrebbe giocare un ruolo fondamentale e determinante. Infine, non va sottovalutata la grave minaccia di Xylella fastidiosa, il batterio che ha falcidiato l’ulivicoltura salentina, il quale, muovendosi verso il nord della Puglia, non troverebbe ostacoli nel creare pericolosissimi focolai negli uliveti marginali e abbandonati di Mola (di cui parliamo in questo numero con l’articolo Xylella fastidiosa: fermiamo la minaccia).

Vitangelo MAGNIFICO

 

Articolo pubblicato sul numero di dicembre 2018 di Città Nostra, col titolo La Cima di Mola: l’ulivo che fece grande l’agricoltura molese. Rivalutazione della nostra antica varietà per un EVO di alto livello”.