2 Ottobre 2020    Pietro Santamaria

“Là dove c’erano le norie”. Illusioni e disillusioni sull’agricoltura molese

di Nicola Bellantuono

«Alla fine del percorso professionale, nel momento di riordinare la bibliografia scientifica e divulgativa prodotta, ho sentito il dovere di raccogliere in un volume gli articoli riguardanti l’agricoltura di Mola di Bari e “dintorni” intendendo con questo termine non solo i riflessi su di essa delle consorelle dei paesi vicini ma anche le ricadute delle scelte politiche che avvenivano a vari livelli nazionali ed esteri e delle quali inevitabilmente ne subiva le conseguenze». Le parole con le quali Vitangelo Magnifico introduce questa sua corposa monografia chiariscono bene il pretesto che ne ha mosso la redazione.

“Là dove c’erano le norie”, tuttavia, è più che una semplice raccolta retrospettiva dei contributi che l’autore – già agronomo presso il CNR, a lungo Direttore dell’Istituto Sperimentale per l’Orticoltura e più recentemente dirigente di ricerca presso il Centro di Ricerca per l’Orticoltura – ha lasciato in mezzo secolo di osservazione sul mondo agricolo, dal 1970 a oggi. Si tratta piuttosto di un’operazione bifronte.

Da un lato, attraverso l’attenta selezione della sua cospicua produzione pubblicistica che negli anni si è susseguita sulle testate nazionali e locali – in particolare su Città Nostra per gran parte dell’ultimo ventennio – sono tratteggiati gli elementi peculiari dell’agricoltura molese. Le sezioni in cui è articolato il volume sembrano quasi scandagliare le contrade della nostra campagna, secondo percorsi longitudinali – i capodieci, insomma! – che conducono il lettore a conoscere il carciofo e il pomodoro, l’ulivo e la vite, il mandorlo e il carrubo, il fico e il fico d’india, e poi tutte le altre colture orticole che fungono da segno distintivo del nostro paesaggio (persino urbano: si vedano le tradizionali ségge au pendàune della vendita diretta dei prodotti agricoli).

Accanto a questi itinerari, però, il volume ne propone altri che – per restare in metafora – sono come quelle vie trasversali, spesso più antiche ed importanti, che mettono i capodieci in mutua connessione per condurre poi a località anche distanti. Ed è nel percorso lungo queste strade che Magnifico accompagna il lettore a interrogarsi non semplicemente su quello che appare bene in vista, ma sulle dinamiche che vi sono sottese. I temi trasversali che vengono trattati partono, anzitutto, dalle trasformazioni che il paesaggio agrario molese ha avuto decennio dopo decennio sino ad oggi, così tumultuose da renderlo ormai quasi inintellegibile agli occhi di un ipotetico bracciante di un secolo fa. L’autore richiama l’attenzione sui cambiamenti nei mezzi impiegati e nei processi di irrigazione, con i danni che sono stati arrecati ai terreni dalla progressiva salinizzazione e, su un altro piano, al valore aggiunto degli agricoltori dalla rendita parassitaria dei detentori di pozzi; e sottolinea – per inevitabile e legittimo condizionamento professionale – l’importanza dell’innovazione, della ricerca e dell’assistenza tecnica agronomica nell’offrire sempre nuove opportunità a un settore che non può sopravvivere sugli allori di un passato mitizzato.

Magnifico non omette però di sottolineare che la conduzione dei campi non si esercita, per così dire, in autoclave; al contrario, la sua capacità di prosperare o isterilirsi è condizionata dal reticolo di interazioni umane che stanno attorno all’agricoltura. Da questa osservazione discendono le sezioni del volume, indispensabili per sollevare lo sguardo dalla mera “zolla” delle specifiche produzioni, che vengono dedicate ad Agricoltura e società e alla Questione agraria. In esse viene tratteggiato il ruolo – spesso improvvido e superficiale, se non addirittura controproducente – esercitato dalla politica, dalle organizzazioni datoriali e dai sindacati. Anno dopo anno, scelta dopo scelta, un intero settore è stato così condannato a mano a mano alla marginalità, sia in relazione alle scelte strategiche di sviluppo, rivelatesi incapaci di cogliere il ruolo, sia pur rinnovato, che l’agricoltura avrebbe potuto espletare, sia nel confronto con i paesi (e i Paesi) vicini.

Emblematici, dal punto di vista di Magnifico, sono i veti («insensati») che a più riprese sono stati posti in Italia alla ricerca nel campo degli OGM da un lato, e le «scelte di sottosviluppo» che vedono privilegiare oltremisura le produzioni di nicchia. Per l’autore, l’agricoltura «è un argomento troppo serio e variegato per poterlo lasciare in mano ad incompetenti e ad esclusivo uso di chi vuol fare business con i prodotti tipici e il biologico, frenando tutto il resto (quasi il 90%) fatto di commodities, cioè di materie prime, ridotte, in Italia, a sinonimo di schifezze […]. Abbiamo finito per ridurre una delle più belle agricolture al mondo ad agricoltura da bancarelle» (2008).

Se le responsabilità della politica non vengono certo taciute, l’analisi dell’autore non fa sconti neppure a coloro che sono stati direttamente impegnati nell’esercizio dell’agricoltura a Mola e che «per troppo tempo hanno demandato ad altri la risoluzione dei loro problemi» (1981). Sin dagli anni settanta – ma «dire “io l’avevo detto” è una squallida consolazione!» – Magnifico ha rimarcato la gravità della crisi e la necessità di fare leva anzitutto sulla dimensione organizzativa: «La nostra agricoltura è sull’orlo del collasso e non basta aver venduto bene quest’anno i carciofi e l’uva […] per farci ricredere. Le gravità di fondo restano» (1977) e possono essere superate solo mettendo mano agli elementi che, più di altri, frenano lo sviluppo del settore.

Su questo piano, la produzione pubblicistica dell’autore nell’arco di un cinquantennio identifica una serie di temi cardine sui quali sarebbe (stato?) necessario intervenire: «l’arretratezza culturale degli agricoltori e la loro incapacità di gestione collettiva» (1989), il «netto prevalere dell’individualismo sulla cooperazione e l’associazionismo» (1977), l’assenza di «strutture produttive, commerciali e mentali all’altezza» (2003), la «polverizzazione della proprietà fondiaria» (2008) e gli anacronistici rapporti fra questa e i conduttori improntati ai modelli contrattuali arcaici (1989), la «corruzione assistenziale» e l’elevato numero di addetti fittizi (1977), la preoccupante crescita dell’età media e «la gretta oppressione dei padri sui figli desiderosi di innovarsi» (1977).

Da osservatore acuto e professionalmente competente, oltre che da cittadino consapevole dell’ineludibile ruolo sociale che riveste l’affrontare certi temi in un consesso costituito anche da non esperti (soprattutto quando a costoro è demandato addirittura l’onere di decidere), Vitangelo Magnifico non si è sottratto dall’analisi dei problemi e a più riprese ha suggerito i possibili ambiti di intervento. Tuttavia, se nei suoi scritti può essere colta una parabola è quella che ha visto ben presto l’entusiasmo propositivo dei primi anni soppiantato da una chiara vena di disillusione: «Personalmente non sono convinto che le cose possano migliorare. Anzi, proprio analizzando il comportamento di chi è interessato in prima persona, penso che le cose possono solo peggiorare, e di molto» (1989).

La stessa introduzione al volume – che appare sotto il titolo tristemente evocativo di “La noria è morta!” – non lascia spazio ad equivoci circa la prognosi dell’autore sul settore primario a Mola: la «misera condizione dell’agricoltura» diventa infatti «metafora del declino dell’intera comunità, quindi espressione di sottosviluppo, del quale i più non vogliono ancora prendere coscienza». Questo pessimismo, tuttavia, non si traduce in rassegnazione fatalistica: l’augurio di Magnifico è che dalla lettura di questa sua opera possano comunque essere tratte «riflessioni efficaci per le indispensabili scelte future», che «senza commettere l’errore di “porre il chiodo nei buchi vecchi”» siano in grado di «condurre alla formulazione di un modello per la rinascita ambientale ed economica del territorio», così da preservare il lascito identitario degli antenati e al medesimo tempo offrire opportunità nuove ai molesi a venire.

Il volume (368 pagine, nell’inappuntabile edizione dell’editore barese Gelsorosso) si completa, oltre che con i saluti istituzionali del sindaco, con la prefazione dell’economista Vito Tanzi e la postfazione dello storico Guido Lorusso. La noria raffigurata in copertina è tratta da una diapositiva a colori di Tonino Rubino risalente agli anni cinquanta e i carciofi che vi appaiono in filigrana fra le nuvole sono ripresi da uno scatto in bianco e nero di Peppino Brunetti.

(nicola.bellantuono@gmail.com)

Nota – L’articolo è stato originariamente pubblicato su Città Nostra, XVIII, 198, luglio-agosto 2020, pp. 15-16.